Genegravimetro

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Genegravimetro di Marco Todeschini

Tratto dal sito circolotodeschini.com

Direttamente dal volume LA TEORIA DELLE APPARENZE di Marco Todeschini, riportiamo il testo che descrive questo apparecchio che dimostra la genesi delle ttrazioni e repulsioni fra le masse immerse in un fluido.

ESPERIMENTO CRUCIALE B

Questo esperimento venne da me effettuato per la prima volta nel 1922 a Torino, mentre frequentavo quel Politecnico.
Al centro di una vasca piena d’acqua, immersi sino al suo diametro equatoriale una sfera di legno, il cui asse polare verticalmente disposto, era congiunto all’asse di un motorino lettrico, sospeso al soffitto con una fune.
Azionando il motorino, la sfera si poneva in rotazione, costringendo, per attrito, il iquido ad essa circostante a seguirla nel suo moto di rotazione intorno al centro, per falde concentriche. Così prodotto il campo rotante Todeschini, immersi nell’acqua, a varie distanze dal centro, delle sferette di legno di egual diametro, sostenute da fili verticali, e le sferette si spostarono verso il centro del campo, come se fossero state attratte da esso con una misteriosa forza di gravitazione!
Già da questo semplice esperimento, avevo chiara conferma che la forza che sollecitava verso il centro del campo le sferette planetarie era dovuta alla spinta centripeta che il liquido circolante esercitava contro di esse, e non già ad una misteriosa attrazione della sfera centrale.
La forza di gravità non era quindi che la spinta centripeta del liquido.
Per verificare se tale spinta variava in funzione della distanza dal centro del campo con la stessa legge della forza di gravità, occorreva procedere a misurare l’entità di tale spinta in vari punti del campo situati a diverse distanze dal centro. Tale misura era di somma importanza perché se veramente quella spinta idraulica centripeta variava con la stessa legge della forza di gravità, allora restava dimostrato che la forza di gravità altro non era che la spinta centripeta del liquido!
Ma per effettuare tali misure, mi accorsi che dovevo lasciare libere le sferette planetarie di compiere solamente escursioni radiali verso il centro del campo, vietando loro il movimento di rivoluzione, e che dovevo contrastare la loro escursione centripeta con la reazione di molle tarate, dalla cui deformazione poter dedurre la spinta centripeta.
Modificata quindi l’attrezzatura con i dispositivi predetti, verso la fine del 1923 tentai di effettuare le misure in parola, ma la difficoltà di apprezzare la deformazione delle molle, mi fece pensare che sarebbe stato possibile effettuare le misure senza di esse, poiché le sferette planetarie sostenute dal filo si potevano considerare come fili a piombo, per deviare i quali dalla verticale, occorrono forze orizzontali tanto maggiori quanto più grandi sono le deviazioni.
Bastava quindi misurare l’angolo di deviazione dalla verticale di ciascun filo che sosteneva la relativa sferetta, e da questo e dal peso della sferetta, con semplice calcolo si poteva dedurre la forza deviante.

 

D’altra parte, considerando che per pormi nelle stesse condizioni dei pianeti del sistema solare che ruotano su se stessi, dovevo imprimere anche alle sferette planetarie una rotazione intorno al loro asse polare, il che richiedeva per ciascuna di esse un motorino
elettrico, decisi di rinviare gli esperimenti sinché non avessi approntato tutti i dispositivi necessari.

Nel luglio del 1924 l’apparecchiatura era terminata. Essa consisteva in una vasca cilindrica A (fig. 38) di ferro zincato, piena di acqua, sopra la quale era disposta una traversa orizzontale B che sosteneva al centro, mediante un montante verticale D, il motore elettrico M, sul cui asse era imperniata la sfera solare motrice S, immersa nell’acqua al centro della vasca sino al suo diametro equatoriale.
All’estremità della traversa B era imperniata un’asta verticale E, la quale sosteneva un motorino elettrico, sul cui asse era imperniata la sfera planetaria P. Azionando entrambi i motorini elettrici, il liquido si poneva in movimento circolatorio attorno alle due sfere, e l’asta E subiva un deviamento dalla verticale di un certo angolo, si che la sferetta P planetaria si avvicinava alla sfera centrale S. Imperniando l’asta E successivamente nei punti 1, 2, 3, potei misurare gli angoli 1, 2, 3, e da questi dedurre le forze centripete relative F t1, Ft2, Ft3, le quali risultarono inversamente proporzionali al quadrato della distanza R delle sferette dal centro del gorgo, verificando con ciò la seguente legge:

F t = K’ / R2 (1)

la quale è in perfetta concordanza con la (5) del § 18° se si pone K’f M’ tM , e quindi esprime la legge di Newton sulla gravitazione universale.
La (1) ci dimostra che: «La forza con la quale si attraggono due sfere rotanti nello stesso senso, immerse in un liquido, è inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza, proprio come è la forza di gravità con la quale si attraggono due frammenti di massa qualsiasi».
Ero riuscito quindi, per la prima volta nella storia della scienza, a produrre artificialmente due campi di gravitazione ed a dimostrare che essi si identificavano con i campi liquidi rotanti generati da due sfere poste in rotazione equiversa entro un fluido.
Ero riuscito a produrre artificialmente la forza di gravitazione ed a farla variare a mio piacimento, in quanto bastava aumentare o diminuire la velocità di rotazione delle sfere centrale o planetaria o di entrambe, per variare la forza con la quale esse si attraevano.
Rassicurato dal brillante risultato di questo esperimento che costituiva la base per l’avvento della teoria spazio dinamica, mi accinsi all’esposizione di tale teoria ed alla sua estensione a tutti i rami delle scienze esatte, seguendo lo schema già prestabilito per giungere ad una meccanica unitaria dell’Universo.
In seguito, nel 1936, al Centro Studi del Genio di Pavia, con l’attrezzatura usata per l’esperimento A, opportunamente modificata, ebbi modo di ripetere l’esperimento B con analoghi risultati.
Allo scopo poi di constatare se era proprio vero che campi rotanti equiversi si attraggono e controversi si respingono, impressi alla sfera planetaria prima un moto rotatorio destro giro, e dopo un moto sinistro giro, mantenendo la sfera centrale sempre in rotazione destrogira.
Ebbi così modo di constatare che nel primo caso le due sfere si avvicinavano e nel secondo caso si allontanavano, come previsto dalla mia teoria con la scoperta 139 del § 18°.

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Per completezza riportiamo la descrizione dello stesso esperimento come riportato anche nel volume PSICOBIOFISICA di Marco Todeschini.

L’esperimento cruciale B) fu invece effettuato con un apparecchio denominato «genegravimetro» costituito da una vasca cilindrica A (fig. 21) di ferro zincata, piena di acqua, sopra la quale era disposta una traversa orizzontale B che sosteneva al centro, mediante un montante verticale D, il motorino elettrico M, sul cui asse era imperniata la sfera solare motrice S, immersa nell’acqua al centro della vasca sino al suo diametro equatoriale.

 

All’estremità della traversa era imperniata un’asta verticale E, la quale sosteneva un altro motorino elettrico al cui asse era imperniata la sfera planetaria P, immersa anche essa nell’acqua sino al suo diametro equatoriale.
Azionando entrambi i motorini elettrici, ciascuna delle due sfere, rotando su se stessa, creava attorno a sé un campo rotante centromosso liquido e l’asta E subiva un deviamento (Fig. 21 ) dalla verticale di un angolo, sì che la sferetta planetaria più grande si avvicinava alla sfera centrale S come se fosse da questa attratta da una misteriosa forza gravitica, elettrica o magnetica.
Imperniando l’asta E successivamente nei punti 1, 2, 3, in modo da avvicinarla a quella D, si poterono così misurare i diversi angoli di inclinazione assunti dall’asta E e da questi calcolare le relative forze di attrazione, le quali risultarono inversamente proporzionali al quadrato della distanza delle due sfere, in perfetta armonia con la legge di Newton della gravitazione universale con la quale si attraggono due frammenti qualsiasi di materia ed in perfetta armonia altresì con la legge di Coulomb con la quale si attraggono due cariche elettriche o magnetiche.
Con questo esperimento ero quindi riuscito, per la prima volta nella storia della scienza, a riprodurre artificialmente due campi di gravitazione newtoniani, due campi di attrazione coulombiani, ed a dimostrare che essi si identificano entrambi con i campi rotanti generati da due sfere poste in rotazione equiversa entro il liquido stesso. Ero riuscito altresì a riprodurre artificialmente la forza di gravitazione newtoniana e la forza di attrazione coulombiana ed a farle variare a piacimento, in quanto bastava aumentare o diminuire la velocità di rotazione delle due sfere, per variare la forza con la quale si attraevano. Ma vi è di più. In quei memorabili esperimenti ebbi modo di constatare che se le due sfere poste dentro l’acqua ruotavano nello stesso senso, si attraevano, mentre invece se ruotavano in senso contrario si respingevano. Questo dimostrava chiaramente che la forza di gravitazione, a differenza di quanto ritenuto sinora, poteva assumere al pari delle forze elettromagnetiche non solamente valori positivi, ma bensì anche valori negativi e che ciò dipendeva dal senso equiverso o controverso di rotazione delle due masse considerate e dei rispettivi campi rotanti fluidi centro mossi da esse generati.
Questa duplice possibilità della gravitazione di manifestarsi come forza attraente e respingente, è in perfetta armonia con la stessa duplice possibilità di manifestarsi delle forze elettriche e magnetiche, come del resto poteva desumersi dal fatto che la diversa natura delle tre forze citate è solamente apparente, identificandosi esse tutte nell’unica forza di natura fluido dinamica dello spazio, dovuta all’effetto Magnus.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Link : https://www.youtube.com/watch?v=kOYo_MoQNW4

Dimostrazione del Genegravimetro a cura di Arturo Sommariva

Etere Todeschiniano by D.Domenico

Un pensiero su “Genegravimetro

  • arturo sommariva

    non sono ingegnere,ma mi diletto come posso 🙂 Arturo Sommariva

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