EnergialuceMagnetismo

Dagli Spettri di Luce al Tristimolo

Interamente tratto dal link (e successivi) : https://www.nikonschool.it/experience/colore-melis.php
A cura di: Marcello Melis

Inizia, con questo, una serie di articoli dedicati al colore, alla colorimetria, al Color Management, alla gestione dei profili di colore standard (ICC), ed ai controlli di colore specifici, applicabili sulla fotocamera, in fase di ripresa, o tramite software in fase di fotoritocco.
In questo primo eXperience proveremo a trasportare il Lettore attraverso il ripido percorso che parte dalla natura elettromagnetica della luce ed arriva alla moderna colorimetria che guida e governa tutta la fotografia digitale.
Troveremo risposte a domande come “cosa è la luce?”, “cosa è il colore?”, “è possibile identificare un colore in modo univoco?”, “come viene tradotto un colore dall’occhio?”.

La Luce

Va subito detto che la luce, che sia bianca o che sia colorata, è sempre una composizione di radiazioni elettromagnetiche che hanno esattamente la stessa natura delle onde radio, delle microonde, dei raggi X o dei raggi Gamma. Un’onda elettromagnetica è caratterizzata principalmente dalla propria frequenza di oscillazione. La frequenza si misura in hertz, cioè in oscillazioni al secondo.

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Fig. 1: Propagazione di un’onda.

Partendo dalle basse frequenze ed esplorando tutto lo spettro elettromagnetico, incontriamo per prime le onde radio che vanno da qualche chilohertz (KHz, migliaia di oscillazioni al secondo) a qualche centinaio di megahertz (MHz, milioni di oscillazioni al secondo), poi troviamo le microonde nell’intervallo che va da qualche gigahertz (GHz, miliardi di oscillazioni al secondo) a molte decine di GHz, di seguito ci sono gli infrarossi, che cominciamo a percepire con i nostri sensi sotto forma di radiazione proveniente da una fonte di calore come ad esempio una stufa o un termosifone, poi finalmente la strettissima banda della luce visibile, di cui parleremo in modo dettagliato dopo, ed a seguire le radiazioni ultraviolette, i raggi X ed infine i raggi Gamma.

A partire dalle radiazioni nella banda degli infrarossi e per frequenze crescenti, un’onda elettromagnetica viene più comunemente caratterizzata attraverso la sua lunghezza d’onda piuttosto che attraverso la sua frequenza.

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Fig. 2: Spettro Elettromagnetico.

La lunghezza d’onda è lo spazio percorso da una radiazione nel tempo di durata di un singolo ciclo. Un’onda elettromagnetica percorre quasi 300.000 km in un secondo; un’onda radio ad esempio con frequenza di 300 Khz avrà quindi una lunghezza d’onda pari ad 1 Km (Onde Lunghe). In formule L=V/F dove L è la lunghezza d’onda, V la velocità di propagazione ed F la frequenza.

Le lunghezze d’onda delle radiazioni nell’infrarosso, nel visibile e nell’ultravioletto hanno dimensioni che vanno da centinaia di micrometri (1 μm = 1 milionesimo di metro) a decine di nanometri (1 nm = 1 miliardesimo di metro, 1μm =1000nm).
Lo spettro degli infrarossi (IR) è molto ampio ed a seconda della disciplina scientifica viene classificato in vari modi. La classificazione DIN/CIE, di interesse fotografico distingue tre bande: IR-A (700nm-1.4μm), IR-B (1.4μm-3μm) e IR-C (3μm-1000μm).
Lo spettro del visibile (VIS) si estende da 700nm a 400nm.


Fig. 3: Lo Spettro Visibile.

Lo spettro degli ultravioletti (UV) viene suddiviso in UV-A (400nm-315nm), UV-B (315nm-280nm) e UV-C (280nm-10nm).

Una fotocamera digitale standard ha in genere una sensibilità spettrale che copre la banda del visibile e mantiene una sensibilità residua, molto bassa, nella banda IR-A (ma questo dipende molto da marca, modello e generazione).
Fotocamere digitali modificate alle quali, cioè, è stato rimosso il filtro IR-cut che elimina l’infrarosso e gli UV, conservano una sensibilità simile a quella che hanno nel visibile, fino a lunghezze d’onda di 800-900nm. Questa variante delle fotocamere digitali trova largo impiego in molti campi disciplinari sia scientifici che artistici, come quelli documentati, ad esempio, su queste pagine con i precedenti eXperience Fotografia digitale infrarossa, l’ultima frontiera e Riflettografia nell’Infrarosso con Reflex Nikon.
Sorgenti e composizione spettrale

Una sorgente di luce in generale è composta da radiazioni a diverse frequenze e può venire caratterizzata attraverso il suo così detto spettro di emissione che è un grafico (o tabella) che indica, per ogni lunghezza d’onda, l’intensità di radiazione emessa.
Possiamo distinguere diversi tipi di spettri associati alle relative sorgenti:

  • spettri monocromatici: sono gli spettri tipici delle sorgenti laser. Tutta l’energia è concentrata intorno ad una unica lunghezza d’onda.

    Spettro Monocromatico
  • spettri a righe: sono l’unione di più spettri monocromatici separati da zone senza energia. Sono tipici della materia rarefatta, come i gas, portata ad eccitazione da qualche fonte di energia. Le righe corrispondono ai salti di energia che fanno gli elettroni degli atomi assorbendo e cedendo energia.

    Spettro a Righe
  • spettri a banda stretta nei quali tutta l’energia è concentrata in una zona molto piccola di spettro e che sono tipici delle sorgenti LED.

    Spettro a Banda Stretta
  • spettri continui che presentano ampie zone continue di spettro con valori di energia consistenti, tipici delle sorgenti ad incandescenza ed in generale delle sorgenti tipo corpo nero.

    Spettro Continuo

Le sorgenti di luce di gran lunga più comuni sono quelle che presentano uno spettro di radiazioni continuo. Appartengono a questa classe tutte le sorgenti che producono luce attraverso il raggiungimento di alte temperature come le lampade ad incandescenza, le lampade ad arco e lo stesso Sole che ci fornisce illuminazione ed energia. Queste ultime sorgenti rispondo ad una legge fisica che va sotto il nome di emissione da corpo nero.

Una sorgente particolare: il corpo nero

Un tipo di sorgente di luce particolare è quello che si ha quando un corpo raggiunge temperature molto elevate, tanto da diventare incandescente. I fisici chiamano questo tipo di emissione, emissione da corpo nero, ed hanno sviluppato, in particolare il fisico tedesco Max Plank, un modello matematico che prevede la composizione di frequenze ed ampiezze delle varie radiazioni emesse da un corpo a seconda della temperatura cui viene portato il corpo stesso. All’aumentare della temperatura la lunghezza d’onda media emessa diventa sempre più corta ed ad un certo punto la radiazione entra nella banda di radiazioni visibili all’occhio umano. La temperatura a cui inizia a diventare visibile il corpo nero è di circa 1.000 Kelvin (la temperatura in kelvin è uguale a quella in gradi centigradi aumentati di 273.16). A queste temperature il corpo nero appare rossastro. All’aumentare della temperatura il colore si sposta verso il giallo fino ad arrivare al bianco ad una temperatura intorno ai 6.000 kelvin. Aumentando ancora, cioè dai 7.000 kelvin in su, il colore comincia a diventare azzurro e poi blu.

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Fig. 8: Corpo Nero a 2000K.
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Fig.9: Corpo Nero a 2000K.
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Fig. 10: Corpo Nero a 3200K.
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Fig. 11: Corpo Nero a 6500K.
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Fig. 12: Corpo Nero a 10000K.
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Fig. 13: Corpo Nero a 15000K.

Nelle figure sopra, sono mostrati gli spettri emessi dal Corpo Nero al variare della temperatura in kelvin. La forma della distribuzione rimane simile a tutte le temperature, quello che cambia è la posizione e l’altezza del picco che si sposta verso sinistra attraversando lo spettro visibile. Guardando la banda del visibile si vede come al variare della temperatura variano i rapporti di altezza tra i vari colori, cosa che giustifica la variazione di colore complessiva che assume la luce.
Sole, Atmosfera e spettro risultante

Il fatto che intorno ai 6.500 kelvin la luce emessa dal corpo nero ci appaia bianca dipende dal fatto che questa è proprio la temperatura di colore del Sole che, in quanto unica fonte di luce disponibile durante l’evoluzione della vita sulla Terra, per noi è la sorgente di luce naturale di riferimento, e quindi bianca (neutra). In realtà tra l’emissione di corpo nero a 6.500 kelvin e lo spettro di luce del sole (illuminante Daylight D65) ci sono differenze dovute a due cause: il Sole non è un corpo omogeneo (non è un vero corpo nero teorico) ed ha una “superficie” sede di fenomeni estremamente complessi che alterano lo spettro; tra Sole e Terra si interpone l’atmosfera che funziona da filtro ed assorbe le radiazioni in modo diverso a seconda della lunghezza d’onda.

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Fig. 14: Illuminante D65 e Corpo Nero a 6500K.

Misura dello spettro: Monocromatori e Spettroradiometri

Una sorgente di luce è quindi generalmente fonte di radiazioni che contengono molte lunghezze d’onda. Utilizzando un particolare strumento, detto monocromatore, è possibile selezionare dalla sorgente solo le radiazioni che cadono in una banda stretta intorno ad una specifica lunghezza d’onda ed ottenere quindi, a valle della sorgente e del monocromatore, una luce monocromatica.

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Fig. 15: Monocromatore.

Nella Fig. 15 viene descritto uno dei possibili schemi di monocromatore. La luce della sorgente A entra dalla fessura d’ingresso B e viene collimata (fuoco all’infinito) sul reticolo di dispersione D. La luce dispersa raggiunge lo specchio E e da questo viene focalizzata sul piano d’uscita F, In F quindi si forma l’immagine della fessura B, ma questa immagine è scomposta nelle componenti cromatiche. La purezza della luce G (cioè la sua monocromaticità) dipende dalla dimensione della fessura d’uscita F dalla quale dipende direttamente la larghezza di banda di G.

Uno spettroradiometro svolge la funzione di misurare l’intensità della radiazione al variare della lunghezza d’onda. Le tecnologie utilizzate per la costruzione di uno spettroradiometro sono simili a quelle di un monocromatore, perché in entrambi i casi è necessario separare le diverse componenti in frequenza della sorgente di luce disponibile.

La misura dello spettro può avvenire in due differenti modi: sequenziale o parallelo.
Nella misura sequenziale si dispone di un sensore (una fotocellula) in grado di trasformare la luce che lo colpisce in segnale elettrico. Questo sensore viene posto in una posizione analoga a quella della fessura F del monocromatore e viene utilizzato per misurare l’intensità della radiazione al variare della posizione del reticolo di diffrazione facendo così la scansione di tutto lo spettro.
Nel sistema parallelo viene posto un sensore di immagine (lineare o bidimensionale) in posizione analoga alla fessura F, ma direttamente esposto a tutta l’immagine prodotta dalla lente E. Sul sensore si forma quindi “l’arcobaleno” di colori proveniente dalla griglia di dispersione, ed ogni pixel o fila verticale di pixel, misurerà l’intensità di radiazione di un colore specifico.

Una caratteristica importante di uno spettroradiometro è la risoluzione, ovvero la differenza di lunghezza d’onda minima che lo strumento riesce a distinguere. La Fig. 16 mostra uno spettro misurato con uno strumento a risoluzione di 10 nm (Eye-One Pro con software Babel Color). La Fig. 17 mostra uno spettro a banda strettissima (laser) misurato con uno spettroradiometro a risoluzione di 1.5 nm (SphereOptics con software proprietario). È evidente come la misura del secondo spettro con il primo strumento avrebbe portato ad una misura troppo grossolana per apprezzare la dimensione della banda.

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Fig. 16: Spettro a picchi di una lampada a basso consumo.

Irradianza spettrale di sorgente Laser misurata
con spettroradiometro (microwatt /( cm^2*nm)).

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Curve di sensibilità spettrale

Se vogliamo caratterizzare dal punto di vista spettrale un dispositivo sensibile alla luce, abbiamo bisogno di tracciare la sua curva di sensibilità spettrale.
È possibile ottenere questo in modi diversi, uno dei quali, tra i più precisi, richiede l’uso congiunto di una sorgente di luce ad ampio spettro, di un monocromatore e di uno spettroradiometro.
La procedura consiste nell’esporre il sensore ad una sequenza di stimoli monocromatici (sorgente + monocromatore). Ad ogni stimolo, cioè per ogni lunghezza d’onda impostata sul monocromatore, viene misurata con lo spettroradiometro l’energia spettrale “vista” dal sensore, ed allo stesso tempo viene registrato il valore numerico fornito dal sensore in risposta a quello stimolo.
Il rapporto tra il valore numerico prodotto dal sensore e l’energia raccolta dallo stesso, per ogni lunghezza d’onda, determinerà la sensibilità spettrale del sensore.

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Fig. 18: Sensibilità spettrale Nikon D700 senza Filtro IRcut.

La Fig. 18 mostra la sensibilità di una fotocamera Nikon D700 priva del filtro di blocco degli IR e degli UV. Come si può notare la sensibilità della fotocamera si estende fino ad oltre i 900nm. In questo caso abbiamo tre curve di sensibilità perché i photo-site (pixel) del sensore sono coperti dalla matrice di Bayer costituita da una scacchiera di filtri rosso verde e blu, e di conseguenza è necessario misurare la sensibilità spettrale per ciascun tipo di filtro.
Curve di trasmittanza spettrale

Altro uso che si può fare di una strumentazione come quella descritta è la misura della trasmittanza spettrale. La trasmittanza spettrale è una curva che assume valori compresi tra 0 ed 1 (dallo 0% al 100% di segnale trasmesso) in funzione della lunghezza d’onda. Un filtro colorato, ad esempio, presenterà una trasmittanza spettrale caratteristica che ne determinerà il colore.
La trasmittanza è semplicemente la quantità di luce che viene fatta passare dal filtro in funzione della lunghezza d’onda. Per determinarla, prima si misura lo spettro di emissione di una sorgente di luce ad ampio spettro, e poi si misura lo spettro di emissione della stessa lampada ma visto attraverso il filtro. La seconda misura diviso la prima, lunghezza d’onda per lunghezza d’onda, fornirà la trasmittanza spettrale.

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Fig. 19: Trasmittanza Filtro IRcut di una Nikon D300.

Sensibilità spettrale dell’occhio

Sulla Terra la fonte di luce primaria è sempre stata il Sole. Il Sole ha uno spettro di emissione che raggiunge valori massimi tra i 400 ed i 700nm, con un picco a 555nm. La vita sulla Terra si è dunque sviluppata ed adattata a questa sorgente di luce. Infatti lo spettro visibile per l’Uomo coincide proprio con la banda da 400 a 700nm e la sensibilità massima si ha proprio a 555nm.


Fig. 20: Sensibilità alla luce diurna (efficienza fotopica).

La Fig. 20 mostra la curva complessiva di sensibilità dell’occhio alla luce diurna. Questa è una curva di efficienza che traccia la sensibilità dell’occhio a prescindere dai colori. È stata misurata anche una curva analoga, ma relativa alla visione notturna (scarsità di luce). Questa seconda curva ha la stessa forma ma il culmine è spostato verso sinistra, verso il blu.
Radiometria vs Fotometria

La curva di sensibilità fotopica, detta anche curva di efficienza V(λ), dove λ indica la lunghezza d’onda, è l’anello che mette in corrispondenza le misure radiometriche con le misure fotometriche.
Le misure fotometriche, qualunque esse siano, sono sempre riferite al campo di sensibilità dell’occhio. Una misura fotometrica parte da una misura radiometrica che viene moltiplicata lunghezza d’onda per lunghezza d’onda per la curva di efficienza V(λ), oltre che per altri fattori di scala. Qualsiasi misura fotometrica, quindi, effettuata in una zona di spettro elettromagnetico esterna al visibile, risulterà nulla.

Sensibilità spettrale dell’occhio: coni e bastoncelli

La retina, cioè la parte sensibile dell’occhio umano, è costituita da 4 tipi di sensori: i bastoncelli e tre tipi di coni.


Fig. 21: Sezione di Retina con Bastoncelli, Coni e primi strati di neuroni.

I bastoncelli sono responsabili della visione scotopica, ovvero della visione notturna o in situazioni di carenza di luce. I bastoncelli non sono in grado di distinguere i colori e sono organi ad alta sensibilità con uno spettro di sensibilità che copre tutto il visibile. La sensibilità dei bastoncelli è di mille volte superiore a quella dei coni e ci permette la visione notturna. La sensibilità scotopica, cioè quella notturna, coincide quindi con la sensibilità dei bastoncelli, mostrata in Fig. 22


Fig. 22: Sensibilità in luce notturna (Scotopica).

In luce diurna, invece, la visione è a carico dei coni che mostrano una sensibilità più bassa dei bastoncelli, ma selettiva rispetto alle lunghezze d’onda della luce. I coni sono di tre tipi, differenziati rispetto alla banda di sensibilità (blu, verde e rosso) come mostrato in Fig. 23.


Fig. 23: Curve di sensibilità dei tre tipi di coni.

La conseguenza più evidente derivante dalla fisiologia dell’occhio, consiste nel modo in cui l’occhio interpreta lo spettro di una emissione che cade nel campo visibile. Lo spettro viene “pesato” secondo le tre curve di sensibilità di Fig. 23 producendo tre stimoli nervosi proporzionali all’intensità della radiazione nelle tre zone di sensibilità dei coni. In altre parole uno spettro, che fisicamente potrebbe essere rappresentato da decine di valori (l’intensità misurata ad un certo passo di lunghezza d’onda) viene ridotto a solo tre valori.
Questo passaggio è fondamentale perché è quello su cui si basa l’intero settore dell’imaging digitale come lo conosciamo oggi.
Va subito evidenziato che due spettri che producono la stessa terna di stimoli nell’occhio, non sono necessariamente due spettri uguali. I due spettri appaiono uguali solo all’occhio umano, e per questo vengono anche detti metamerici. Il fenomeno è mostrato nelle Fig. 24, Fig. 25 e Fig. 26.
L’uguaglianza di stimolo non garantisce l’uguaglianza di spettro, e questo è il fenomeno grazie al quale possiamo indurre in un osservatore la sensazione di qualsiasi colore, utilizzando solo tre sorgenti di luce a banda stretta, opportunamente miscelate. Da qui tutta la tecnologia dei dispositivi di riproduzione del colore, come gli schermi video, che sono composti da matrici di elementi, ognuno dei quali contiene tre sorgenti di colore, in genere rosso, verde e blu.


Fig. 24: Spettro di lampada a basso consumo.

Fig. 25: Spettro di lampada ad incandescenza.


Fig. 26: Uguaglianza metamerica dei due spettri.

Colorimetria

Partendo dalle osservazioni sulla visione fisiologica, si è sviluppata la Colorimetria moderna. Nel corso della storia, ed in particolare nell’ambito sia della Scienza che delle Belle Arti, diversi personaggi illustri hanno messo a punto sistemi di classificazione dei colori. La colorimetria moderna, muovendo dalla fisiologia e da trasformazioni matematiche, ha messo a punto sistemi di riferimento colorimetrici assoluti che permettono di definire in modo univoco qualsiasi colore.
In particolare la CIE (comitato internazionale per l’illuminazione) ha stabilito sin dal 1931 le curve di sensibilità standard partendo dalle misurazioni delle curve di sensibilità di un campione di persone. La conoscenza delle curve di sensibilità dell’essere umano permette di stabilire le relazioni tra colori che appaiono ai nostri occhi, al di là del metamerismo. Nei vari passaggi di colore tra un dispositivo ed un altro, se si riesce a mantenere costante la sensazione di colore, anche se gli spettri effettivi dell’emissione luminosa cambiano, abbiamo raggiunto lo scopo di mantenere la fedeltà di colore apparente, che è quella che interessa dal punto di vista dell’imaging digitale.
A partire dalle curve di sensibilità misurate sull’uomo, la CIE ha derivato una terna di curve di sensibilità attraverso le quali qualsiasi colore viene identificato con tre coordinate all’interno di uno spazio di colore colorimetrico.
Questo spazio è chiamato XYZ e le curve di “sensibilità” corrispondenti (quelle che, dato uno spettro qualsiasi nel visibile, lo pesano restituendo i tre valori X, Y, e Z) sono quelle illustrate nella Fig. 27.
Queste curve non rappresentano, in realtà, la sensibilità di qualche cosa, ma derivano da opportune trasformazioni matematiche delle curve di sensibilità dell’occhio. Ad esempio la curva “verde”, cioè Y, coincide con la sensibilità fotopica, e restituisce direttamente la misura fotometrica della intensità della luce.


Fig. 27: Color Matching Functions CIE 31.

Qualsiasi colore, dunque, “visto” attraverso queste curve viene trasformato in una terna di valori nello spazio X,Y,Z. Se tracciamo il piano che passa per i valori unitari degli assi otteniamo un triangolo come in Fig. 28. Un colore qualsiasi, trasformato nella terna colorimetrica, è rappresentato da un punto Q in questo spazio. Il vettore che unisce l’origine al punto Q attraversa il triangolo in un punto q. Se misuriamo i valori XYZ di tutti i colori monocromatici dello spettro visibile (dell’arcobaleno), quello che viene fuori è la curva a forma di vela che si vede tracciata sul triangolo.


Fig. 28: Spazio colorimetrico XYZ.

Se schiacciamo l’asse Z sul piano XY otteniamo una nuova rappresentazione nella quale le coordinate XYZ sono trasformate in altre coordinate relative con la seguente formula:
x = X/(X+Y+Z), y = Y/(X+Y+Z), z = Z/(X+Y+Z)

In questo modo otteniamo una nuova rappresentazione grafica, detta Diagramma di Cromaticità, come illustrato in Fig. 29. In questo diagramma vengono rappresentate tutte le cromaticità visibili dall’occhio umano e di conseguenza qualsiasi colore trova una sua collocazione all’interno della zona a forma di vela. I confini della figura rappresentano i colori monocromatici, mentre la base, rettilinea, rappresenta tutte le combinazioni che si ottengono sommando i colori estremi dello spettro (rosso e blu) e quindi sono tutte le sfumature di magenta, colore non presente nello spettro della luce bianca.

Fig 29: Diagramma di Cromaticità (proiezione di XYZ su xy).

Questo diagramma gode di alcune proprietà molto interessanti, tra le quali le seguenti.
Presi due punti qualsiasi, la linea che unisce i due punti rappresenta tutte le possibili combinazioni dei due colori rappresentati da quei due punti.
Presi tre punti, che identificano un triangolo, qualsiasi colore all’interno del triangolo può essere generato (metamericamente) attraverso la combinazione dei colori rappresentati dai vertici del triangolo, in proporzioni equivalenti alla distanza del punto di colore dai vertici.
La seconda caratteristica è ben rappresentativa di quello che succede in un monitor, dove ogni colore viene prodotto per sintesi additiva di tre colori così detti primari, come mostrato in Fig. 30. Qua vengono indicate le coordinate cromatiche dei tre colori a sintesi (rosso, verde e blu), le coordinate cromatiche del bianco del monitor e la curva lungo la quale giacciono tutti i colori che si ottengono al variare della temperatura di colore.

Fig 30: Gamut di Monitor.

Conclusioni

Abbiamo visto in questo articolo tutti i passaggi necessari per rappresentare in modo univoco un colore.
Siamo partiti dallo spettro di un colore, così come viene trattato in spettroradiometria, abbiamo poi visto che l’occhio è dotato di organi (i coni) in grado di distinguere in qualche modo le varie parti dello spettro visibile, poi abbiamo visto la definizione ufficiale delle “curve di sensibilità” definite dalla CIE, meglio conosciute come Color Matching Functions, ed infine lo spazio colorimetrico XYZ.
Questo percorso di trasformazioni è la base del Color Management, ed è anche la base per comprendere e poi mettere in piedi un corretto work-flow nel lavoro di qualsiasi Fotografo o Grafico.